[LG-SW] 3. Linee Guida sul riuso del Software (art. 69)

Commenti alle Linee Guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni

Preparati da Avv. Marco Ciurcina e Avv. Carlo Piana per conto di Assoli ‒ Associazione per il Software Libero ‒ e FSFE ‒ Free Software Foundation Europe.

Algoritmo di scelta

Relazione tra le subfasi della fase 2

L’art. 68 comma 1-ter CAD in realtà non opera distinzioni tra le categorie del software in riuso e il software libero e le pone allo stesso ordine di preferenza. Nemmeno un criterio semantico porta a considerare una soluzione privilegiata rispetto all’altra: il termine “adeguati” utilizzato nel comma 1 si riferisce a tutti i casi trattati nel comma stesso.

Ove vi siano soluzioni sia di software libero sia di software in riuso, pare utile procedere a una valutazione comparativa rispetto a queste categorie, senza fermarsi a quella in riuso, se quella in software libero fosse più adatta e complessivamente migliore. Ad esempio, quella in software libero potrebbe avere una comunità più viva, oppure essere basata su un middleware o un’infrastruttura uguale a quella già adottata dalla PA, eccetera. Privarsi di questa possibilità in assenza di una norma che lo preveda espressamente è illegittimo in quanto contraddice i principi di economicità e di efficienza previsti al comma 1.

Si suggerisce che il fatto di individuare una soluzione in riuso potenzialmente adeguata non sia un punto di uscita dall’albero decisorio, ma dia comunque come esito il passaggio alla valutazione successiva, dovendosi ricercare se non vi siano soluzioni in software libero utilizzabili anche non appartenenti al dominio del riuso, per poi operare una valutazione comparata se più soluzioni passino l’uno o l’altro filtro.

Relazione tra la fase 2 e la fase 3

La fase 2 tiene conto di tutti i requisiti; a p. 16 delle Linee Guida si legge che

“eventuali costi di
personalizzazione, necessari ad assicurare la copertura di tutti i requisiti
funzionali e non funzionali, indispensabili e non indispensabili”).

La fase 3, invece:

  1. tiene conto di tutti i requisiti per la realizzazione ex-novo; infatti a p.
    19 si legge

“La Pubblica amministrazione, dopo aver individuato l’esistenza o meno di
una soluzione proprietaria confacente ai propri bisogni, elabora un documento
contenente un progetto di fattibilità contenente la stima delle attività, dei
costi e dei tempi da sostenere per la realizzazione di una soluzione ex-novo
che soddisfi completamente le esigenze indicate nel documento sull’analisi
dei fabbisogni così come descritto nella “Fase 1.1: Analisi del
fabbisogno”.”

  1. non tiene conto di tutti i requisiti per il software proprietario; infatti a p. 19 si legge

“assicurare la soddisfazione dei requisiti funzionali e non determinati
nella Macro fase 1, garantendo il soddisfacimento di quelli indispensabili,
con quelli indicati nella documentazione”.

Apparentemente, questo algoritmo può essere aggirato facilmente: è sufficiente prevedere nella fase 1 dei requisiti non indispensabili che non sono disponibili in nessuna soluzione in riuso e software libero per passare serenamente alla fase 3 saltando la 2 e quindi preferire software proprietario (che non deve soddisfare tutti i requisiti). C’è qualcosa da correggere. Per esempio, si può prevedere che se non esiste una soluzione proprietaria con tutti i requisiti previsti nella fase 1, si riapre la fase 2 valutando solo i requisiti indispensabili per software in riuso e software libero. Oppure si chiarisce che la valutazione make della fase 3 è limitata ai soli requisiti soddisfatti dalla migliore soluzione proprietaria e riguarda anche il caso in cui si personalizza del software in riuso o software libero.

Responsabilità

Si ritiene che vada posta più attenzione al tema della valutazione di conformità legale.

Qualsiasi attività di realizzazione di software soggetto a riuso determina obbligatoriamente una distribuzione. Pertanto, quando si commissiona software sviluppato ad hoc che comporti l’utilizzo di componenti di terze parti, occorre che il software “inbound” abbia condizioni di licenza o di titolarità compatibili con la licenza del software in uscita. Si suggerisce pertanto di prevedere che i contratti di appalto tengano conto di quanto sopra, obbligando il fornitore a svolgere la valutazione di conformità ed a documentarne gli esiti alla PA appaltante.

Anche chi riusa il software deve svolgere una valutazione di conformità, soprattutto se:

  1. chi riusa distribuisce il software, o
  2. il software che si riusa o le dipendenze di questo sono disponibili
    secondo i termini di licenze network copyleft.

Ma il problema della valutazione di conformità legale va gestito anche se non ci sono licenze copyleft. È necessario mantenere le copyright notices, accompagnare il codice con il testo delle licenze quando è richiesto, ecc…

Chi realizza software che viene rilasciato in riuso e chi riusa si deve porre il problema della valutazione di conformità legale e le Linee Guida dovrebbero dirlo chiaramente.

Si ritiene anche utile indirizzare gli enti a risorse di supporto nella realizzazione della valutazione e delle azioni da intraprendere (tools, specifiche come Openchain, ecc.).

Forse potrebbe essere utile prevedere una sorta di “certificazione”: se una PA svolge l’analisi, potrebbe documentare gli esiti della stessa analisi (nel portale developers?) perché siano disponibili alle altre PA.

Mutualizzazione dei costi

Riteniamo che un generico invito alle PA a collaborare per mettere a fattor comune scelte di sviluppo e licenza di nuove soluzioni sarebbe utile. Ci rendiamo conto che non è un risultato che può discendere dagli artt. 68 e 69 (questo è un problema delle norme, non delle Linee Guida) ma, anche senza intervenire sulle norme, si potrebbero costruire policy, incentivi e pratiche che favoriscono la collaborazione tra le PA per sviluppare e distribuire software libero utile a molte PA.

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