2.3. Elezione e Gestione del domicilio digitale

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“Alla luce dell’articolo 16, comma 2, del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, il domicilio digitale non può essere eletto presso un servizio di posta elettronica certificata gestito da una pubblica amministrazione.” Non capisco il senso di un simile limite alla digitalizzazione. Tutti i cittadini che hanno una PEC rilasciata da un gestore pubblico saranno, difatti, discriminati ed esclusi dai vantaggi legati al domicilio digitale. Esclusi perché è inverosimile che tali utenti si attiveranno per ottenere un nuovo indirizzo PEC (dovendo sostenere, tra l’altro e quasi sicuramente, ulteriori costi).

Nel ringraziarla per la partecipazione alla consultazione, possiamo solo evidenziare che il vincolo da Lei sottolineato non dipende da limitazioni che si vogliono dettare con le presenti Linee Guida, bensì dal precedente vincolo normativo di cui art 16 comma 2 del DPR n. 68/2005.

Bisognerebbe chiarire come avviene la cessazione, soprattutto nel caso in cui l’account PEC venga cessato perchè la persona non effettua più il pagamento del canone; è prevista una verifica periodica con i gestori accreditati? E’ previsto un controllo automatizzato che garantisca che i domicili inseriti nell’elenco siano comunque attivi?

Gentilissima Patrizia, abbiamo attivato un Web service, con i Gestori PEC, che ci consentirà di verificare lo stato della casella PEC, che è un elemento imprescindibile per l’utilizzo della stessa come domicilio digitale. Nelle Linee guida, al paragrafo 2.3.1 puo’ trovare espresso questo concetto. Qualora non sia espresso comprensibilmente può inviarci la proposta di modifica dell’articolo.
Cordiali saluti
Alessandra

Mi associo alle osservazioni dei colleghi. Sarebbe opportuno consentire ai dipendenti pubblici eleggere domicilio digitale con le PEC personali pubbliche di cui eventualmente già disponessero.
Bisogna decidere se il domicilio digitale vuole essere semplicemente l’equivalente dell’indirizzo fisico a cui notificare un atto, o se vuole essere una sorta di alter ego della (un tutt’uno con) la persona fisica. Se è la prima, è inevitabile consentire ai professionisti di eleggere il domicilio INIPEC alternativamente ad un altro domicilio, MA a quel punto va mostrato chiaramente che il soggetto ha più domicili, va indicato per cosa viene eletto uno e per cosa l’altro, e soprattutto va definito l’effetto dell’uso del domicilio ‘sbagliato’ per la notifica di un atto. Se la seconda, non si deve consentire più di un domicilio per persona ma allora vanno eliminati gil elenchi di pec alternativi a questo…
Bisogna chiarire molto bene gli effetti della cessazione/disattivazione della pec designata come domicilio dal soggetto. Non so se le linee guida lo possono fare, ma andrebbe deciso se il domicilio resta valido fino a sua sostituzione (opzione preferibile, chi deve notificare lo fa validamente, non si trova davanti all’irreperibilità del soggetto negligente, ma il fornitore deve conservare atti per uno che non paga? Avvisarlo che c’è una notifica e se vuol vederla deve riattivare la pec? Va chiarito) o se il fornitore in automatico invia una notifica di disattivazione e il domicilio viene disabilitato d’ufficio.

Gentilissima Elena,
sinceramente non ho compreso il suo commento.
Volevo sottolineare che il domicilio digitale è associato a una e una sola persona, sia fisica che giuridica. Mi scusi, ma se può spiegare più approfonditamente il concetto che voleva esprimere magari possiamo dare una risposta più esaustiva.
Cordiali saluti
Alessandra

Provo a spiegarmi meglio:
Ok che un domicilio deve corrispondere a una persona, ma vale anche il viceversa o a una persona possono corrispondere più domicili?
Una persona fisica può ad es. essere l’avvocato Mario Rossi con uno o più studi legali in diverse città e un indirizzo di casa, luoghi a cui corrispondono altrettanti indirizzi fisici e potenzialmente PEC multiple (mario.rossi.roma@pec.avvocati.it o mario.rossi.milano@pec.avvocati.it per inventare due indirizzi). Così come può avere un conto corrente bancario per l’attività professionale e uno o più conti bancari personali, no?
Se ci interessa associare il domicilio digitale al cittadino Mario Rossi il domicilio sarà sempre solo UNO. Non deve avere un domicilio in ANPR e uno diverso in INIPEC perchè è sempre lui, andrebbero eliminati gli elenchi alternativi perchè creerebbero solo confusione. Se il condominio in cui vive gli deve notificare la data dell’assemblea e un altro avvocato gli deve notificare un atto per una causa in cui è il difensore di qualcuno, useranno la stessa PEC.
Se invece un conto è Mario Rossi cittadino e altro è Mario Rossi l’avvocato, dovrebbe essere possibile avere più domicili digitali associati a Mario Rossi, e deve essere possibile sapere quale va usato per cosa e cosa succede se sbaglio. Cioè se io gli voglio notificare l’assemblea condominiale e lo faccio a mario.rossi.roma@pec.avvocati.it che sta su INIPEC è notifica valida? Se voglio notificargli un atto per una causa e gli scrivo a mario.rossi@pec.it domicilio indicato su ANPR invece che sulla pec professionale, vale?
In alternativa, deve essere possibile mettere su ANPR una molteplicità di indirizzi tutti ugualmente con valore di domicilio.
Questo intendevo, secondo me è il fulcro di tutto… il rapporto tra il domicilio digitale di ANPR e gli altri domicili digitali ugualmente previsti da normative diverse.

2.3

Dalla data in cui sarà assicurata l’interoperabilità con l’Anagrafe nazionale della popolazione, il sistema INAD procede automaticamente all’aggiornamento della provincia di residenza delle persone fisiche ad ogni variazione risultante dall’Anagrafe nazionale della popolazione residente.

La provincia non è un concetto superato da modifiche normative degli ultimi anni? Il senso della disposizione è chiaro, aanche se ci si potrebbe chiedere perche’ scegliere il livello intermedio “provincia” e non il comune o la regione.
Tuttavia, stabilire un linguaggio condiviso e corretto da tutti i punti di vista è la base per avere sistemi realmente interoperabili.
Per esempio, l’ISTAT, nell’elenco dei codici statistici e denominazioni delle unità territoriali, ha superato il concetto di provincia (presente come dato storico, nella rappresentazione come progressivo) a vantaggio dell’“Unità territoriale sovracomunale” (che, per dirne una, per i comuni un tempo in provincia di Aosta è “Valle d’Aosta”).
In ANPR invece l’etichetta “Provincia” continua a sopravivvere nella descrizione dell’elemento “Comune”.

Mi sembra che le linee guida in consultazione non entrino nel dettaglio dell’encoding (codifica) dei dati ma sarebbe auspicabile che INAD non aggiungese un ulteriore schema di rappresentazione di dati, ma che si conformasse - almeno per quei dati già gestiti altrove - a uno schema già esistente (quello di ANPR, che sembra la base di dati più vicina?). Perché poi - e nelle linee guida emerge chiaramente - di sistemi che dovranno dialogare ce ne sono abbastanza: INAD, INIPEC, ANPR, gestori PEC…

Sarebbe interessante capire la ratio di quanto disposto dell’art. 16 comma 2 del DPR 68/2005. Lo stesso DPR, infatti, all’art. 14 comma 2 dispone chiaramente che le pubbliche amministrazioni che erogano un servizio di posta elettronica certificata devono soddisfare, ad eccezione della costituzione in società di capitali con un certo capitale versato, gli stessi requisiti dei privati.
A prima vista non si capisce il motivo della diversità, che sicuramente esiste ed è sensato. Non è però immediato capire perché si consenta al pubblico di operare nello stesso settore del privato ma obbligandolo a offire un prodotto artificiosamente “limitato”: sarebbe a quel punto più ragionevole riservare il settore ai soli soggetti privati.

Non è un problema attuale, perche’ stando all’elenco dei gestori PEC, al momento forse l’unico soggetto (simil)pubblico che offre PEC è il Consiglio del notariato che, verosimilmente, rilascia al servizio ai notai che, altrettanto verosimilmente, ne fanno un uso prettamente professionale. Però è un probabile problema in prospettiva: il DPR 68/2005 sembrerebbe mettere un limite alla diffusione del domicilio digitale se, come pare, impedisce a un ministero di assegnare ai suoi dipendenti o a un comune attrezzato di assegnare ai suoi cittadini una casella PEC che sia un vero domicilio digitale.
EDIT: in realta’, come fatto notare da @S.9 , ci sono anche altri gestori pubblici di PEC, quindi la questione ha anche un risvolto attuale e concreto, non solo teorico.

Capisco che la questione va OT, ma l’adozione di linee guida forse puo’ essere un’occasione anche per fare ordine.

Penso che la ratio fosse evitare una indebita concorrenza del pubblico nei confronti del privato, concetto ormai amplissimamente superato nel senso che nulla vieta più al pubblico di farsi qualunque servizio internamente senza ricorrere al mercato, se solo ne ha le capacità.
Questo limite si potrebbe superare con il primo decreto semplificazioni che capitasse a tiro, se solo si volesse.

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Sull’elenco dei gestori PEC sono presenti altri gestori pubblici: Università Federico II e varie Regioni (Marche, Basilicata e InnovaPuglia). Non mi sembrano così marginali, e ovviamente in futuro potrebbero anche aumentare.

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Grazie per la puntualizzazione, non avevo sfogliato la seconda pagina. La questione, anche se ha origine dal regolamento del 2005, ha quindi un risvolto pratico immediato. Perché in fondo non sarebbe cosi’ scandaloso che le regioni fornissero una casella PEC ai residenti nel proprio territorio…

Mi ricollego alle risposte precedenti. Se la logica del domicilio digitale è la maggiore facilità di reperimento, la riduzione dei costi e dei rischi delle notifiche, un sostituto del domicilio fisico, la possibilità di avere più indirizzi PEC come domicili digitali validi solo per alcuni ambiti diventa inutilmente complesso e caotico da gestire (una persona fisica o giuridica dovrebbe avere uno e uno solo domicilio digitale giuridicamente rilevante per tutti gli ambiti che lo riguardano). Il secondo problema è proprio la cessazione: dovrebbe essere previsto un periodo successivo di tolleranza entro il quale la cessazione per causa imputabile all’intestatario non sia opponibile a chi notifica degli atti in quel periodo di tempo (altrimenti si fa dipendere l’efficacia degli atti dalle bizze dell’utente).

Il CAD, a seguito del regolamento UE in materia, sancisce che è prevista la possibilità di utilizzare un “servizio elettronico di recapito qualificato certificato” in luogo della pec. Sarebbe interessante avere l’opportunità di registrare un SERQC in aggiunta alla PEC. In alternativa, al posto degli indirizzi pec, sarebbe interessante avere a disposizione per le comunicazioni/notificazioni tra PP.AA. e privati una piattaforma centrallizzata statale in cui le PP.AA. depositano mediante inserzione i loro atti, che possono essere visualizzati on area riservata sia da chi li ha emessi sia dal destinatario: potrebbe essere l’embrione da cui nasca la piattaforma digitale delle notifiche prevista dall’art. 1, comma 402 e 403- legge 160/2019; si potrebbe prevedere che le notifiche effettuate tra il periodo di cessazione del domicilio digitale e quello in cui un recapito è ripristinato siano valide tramite pubblicazioni in piattaforma.

Questa idea mi pare ottima. Una specie di albo pretorio personale. Se si collegasse al domicilio digitale sarebbe perfetto.
Il cittadino segnala il domicilio digitale ad ANPR, che lo registra su questa piattaforma. Gli enti notificano gli atti alla piattaforma, che li smista sulle pec che conosce, se ne conosce. Gli ISP comunicano ad ANPR le disattivazioni in tempo reale e anpr le cancella dalla piattaforma. Gli enti continuano a notificare in piattaforma, validamente. Se e quando il cittadino registra un nuovo domicilio, la piattaforma gli manda tutti gli atti che non ha mai ricevuto prima, che però per il notificante si hanno per notificati già da prima (un pò come le notifiche per compiuta giacenza, con la differenza che non tornano indietro ma il cittadino ne può prendere conoscenza quando crede). Col vantaggio per i gestori delle caselle pec di non dover mantenere attive caselle per clienti che non pagano. ANPR potrebbe anche comunicare alla piattaforma il decesso in modo che gli atti notificati a un defunto ‘rimbalzino’ al notificante.
L’uovo di Colombo.

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Sono un Conservatore del Registro Imprese di una Camera di commercio e vorrei portare la mia esperienza in tema di domicili digitali delle imprese.

Le imprese italiane iscritte al registro delle imprese (società e imprese individuali) sono obbligate a iscrivere un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) al registro imprese.

La normativa non prevede una sanzione diretta ma l’articolo l’art. 37 del decreto legge n. 5/2012 convertito con modifiche dalla legge n. 35/2012, in vigore dal 7 aprile 2012 prevede (per le società):

6-bis “L’ufficio del Registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa costituita in forma societaria che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda per tre mesi, in attesa che essa sia integrata con l’indirizzo di posta elettronica certificata”.

Per le imprese individuali è previsto specularmente alle società:

"Le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale, sono tenute a depositare, presso l’ufficio del registro delle imprese competente, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata entro il 30 giugno 2013. L’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda fino ad integrazione della domanda con l’indirizzo di posta elettronica certificata e comunque per quarantacinque giorni; trascorso tale periodo la domanda si intende non presentata"

Purtroppo dall’esperienza maturata moltissime imprese una volta iscritto al registro il proprio indirizzo pec si dimenticano di rinnovare il contratto con il fornitore e molti indirizzi pec risultano pertanto inattivi e obbligano i conservatori dei registri imprese a lunghe operazioni per la rimozione di quell’indirizzo pec dalla visura camerale. L’indirizzo non più valido è infatti pubblicizzato nella visura e confluisce nell’indice INIPEC.

Se posso dare uno spassionato consiglio, nell’ottica che il domicilio digitale diventi prima o poi obbligatorio, lo Stato dovrebbe fornire al cittadino maggiorenne di un indirizzo pec che sia sempre valido (fino alla morte del soggetto) e che abbia spazio infinito. L’indirizzo potrebbe essere: codicefiscale@domiciliodigitale.it

Questa scelta eviterebbe di avere qualche centinaia di migliaia o qualche milione di indirizzi pec che potrebbero essere pubblicizzati nell’INAD e che non fossero operativi per scelta volontaria o per negligenza da parte del cittadino (contratto con il fornitore di pec non rinnovato)
. Questo, inoltre, comporterebbe un lavoro di “pulizia” continua da parte del gestore.

Aggiungo altri brevi considerazioni:

a) non capisco la numerazione del capitolo 3 con doppia numerazione (per esempio 3.1 2.1)

b) al punto 3.2 si legge: “Nel caso in cui l’ente di diritto privato risulti già presente all’interno del Registro Imprese o nell’IPA, non è consentita la registrazione al sistema INAD e, conseguentemente, è preclusa la possibilità di eleggere il domicilio digitale.”

Si fa presente che al registro imprese, e più precisamente al Repertorio Economico Amministrativo (REA) esistono enti di diritto privato che non hanno l’obbligo di iscrivere al registro imprese un indirizzo PEC (l’obbligo riguarda le società e le imprese individuali) e che pertanto rischiano di non avere un indirizzo pec indicato nell’INI-PEC nè nell’ INAD. Si valuti anche le disposizioni del costituendo RUNTS (registro unico nazionale del terzo settore) dove saranno iscritti enti di diritto privato che magari non avranno l’obbligo di iscrizione al registro imprese.

Saluti

Michele Marchetto

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Non capisco il senso di questa precisazione
Lo stesso indirizzo di PEC o di recapito certificato qualificato non può essere utilizzato da soggetti diversi come domicilio digitale.

Così come il domicilio fisico può essere condiviso, dovrebbe essere possibile condividere anche quello digitale fra familiari conviventi (es. genitore e figlio minore, coniugi), oppure fra tutore e tutelato. Purché ci sia il consenso da parte di chi comunica il domicilio a delegare l’intestatario dell’indirizzo a ricevere per lui le comunicazioni non dovrebbe esserci alcun problema. Viceversa obbligare i cittadini a dotarsi di una casella PEC per componente della famiglia sembra una scelta irrazionale.

Possibilità di controllo degli accessi al proprio dominio digitale da parte dell’utente: al fine di garantire gli opportuni livelli di riservatezza e di privacy, si ritiene opportuno consentire all’utente di verificare i soggetti e le modalità con cui attori terzi hanno avuto accesso al proprio dominio. Al riguardo si potrebbero ipotizzare una serie di meccanismi che abilitino un migliore controllo da parte del cittadino sull’accesso ai propri dati: es. possibilità di dichiarare le finalità non istituzionali per cui i dati dell’utente possono essere acceduti, possibilità di adottare funzioni di mascheramento e di vincolo all’accesso da parte di soggetti terzi, introduzione di un sistema di identificazione in fase di accesso all’INAD per verificare l’identità del richiedente. Ovviamente l’implementazione delle funzionalità sopra descritte potrebbe richiedere una modifica normativa e/o l’autorizzazione del Garante. In prospettiva potrebbe essere interessante valutare anche modelli di gestione dell’identità digitale basati su blockchain (self sovereign identity) per consentire al cittadino il pieno controllo sull’accesso da parte di terzi ai propri dati di identità.

. Ciclo di vita del domicilio digitale e aggiornamento dell’INAD: Rispetto alla cessazione del servizio, si ritiene opportuno specificare le varie condizioni che determinano l’evento, come il caso di morte. In tal caso, la cessazione dovrà avvenire d’ufficio. E’ quindi necessario prevederne la fattispecie relativa. A tal proposito si evidenzia l’importanza di definire un processo di aggiornamento basato sulle informazioni certificate in possesso dell’anagrafe della popolazione.