Tenderei piuttosto a credere che la vera criticita’ e’ avere un codice paese unico per Cina, India, Indonesia, Nigeria ecc. ma anche per territori disabitati e dove nessuna andrebbe mai a partorire se non in caso di emergenza. Le dipendenze antartiche britanniche hanno ad esempio il codice Z901, quelle francesi Z902, quelle norvegesi Z904 ecc. Le Isole Falkland hanno il loro codice specifico Z609 anche se chi viene da li’ e vuole risiedere in Italia lo farebbe con un passaporto britannico. Mentre Wang cinesi o Singh indiani nati lo stesso giorno contribuiscono ad aumentare i casi di codici doppi, tripli ecc. Stesso problema in Italia. Roma ha un codice, Milano anche, ma anche ad esempio Pedesina (SO), con 36 abitanti.
sintesi corretta.
Per un software di verifica meglio prevedere una certa flessibilita’.
Il problema dell’ID ANPR è che, mentre sicuramente risolve la tragica questione della dipendenza da generalità e dati di nascita per le persone fisiche residenti (a cui magari il Ministero poteva già pensare negli anni '70 quando è stato creato il codice fiscale … ma la lungimiranza è una dote rara) e interrompe il circolo vizioso di autocalcolarsi il C.F. o di impararselo a memoria dimenticandosi il tesserino, d’altro canto un suo uso generalizzato è ad oggi impossibile, a meno di non rivedere le specifiche tecniche: che codice attribuire a società ed enti collettivi? Che codice attribuire a soggetti stranieri non residenti in Italia che hanno delle cointeressenze di natura economico-giuridica nel nostro Paese? Dato che il passaggio a una nuova codifica comporterà importanti costi di adeguamento dei sistemi informatici, tanto vale farlo per tutti fin dall’inizio…
No. Il sistema di codificazione cui si riferisce il D.M. stesso è la modalità di creazione del C.F. regolata dal decreto a partire dai dati del soggetto: |cognome|nome|anno-mese-giorno|cod.belfiore|cod.controllo|
@Lazlu Con il sistema attuale di calcolo del codice fiscale possono nascere enormi equivoci, dovuti al fatto che il mondo negli ultimi 50 anni e’ cambiato. Quanti cinesi / maghrebini / africani abitavano in Italia nel 1970?
Un equivoco e’ dovuto al fatto di fare coincidere il luogo di nascita con residenza e nazionalita’. Poinamo che un tedesco voglia acquistare casa in Italia, occorre assegnargli un C.F. Quale assegnare a uno, poniamo, cittadino tedesco dalla nascita (ius sanguinis) ma nato in Brasile? O nato negli USA (ius soli e ius sanguinis, combinati)? O che dal Marocco e’ emigrato in Germania e ne ha acquistato la cittadinanza? O figlio di coppia russa-svedese ma nato in Francia e residente in Svizzera con passaporto svedese, o russo?
Legare il C.F. non al Paese di nascita ma a quello di cittadinanza? Un tedesco-americano con due passaporti potrebbe subito trovare un escamotage fiscale.
Nel 1970 questi casi sarebbero stati pochissimi e risolvibili con un po’ di buon senso allo sportello, in casi rari di fronte a un giudice. Oggi se il software non e’ programmato per comprendere casistiche strane si blocca tutto e al malcapitato occorre come minimo rivolgersi al TAR. Rarissimo incontrare direttori di servizio disposti a prendere decisioni semza una mezza dozzina di firme aggiuntive.
Un caso diventato pubblico proprio in questi giorni. Pavel Durov e’ russo, san-kittese-e-nevisese, emiratino o francese? Tra l’altro ha frequentato le scuole medie a Torino. Niente niente che ci fosse stato anche lo ius scholae…
Con il sistema attuale, se si seguono bene le istruzioni, non ci possono essere equivoci nel calcolo del codice fiscale. Si e’ nati in un solo posto in una specifica data.
Non c’e’ nessuna coincidenza tra luogo di nascita e residenza o nazionalita’ (che non intervengono affatto nel calcolo del codice fiscale).
Peraltro sono tutti falsi problemi. Il CF e’ rilasciato dall’agenzia delle entrate, quello che ti danno ti prendi… a prescindere dal fatto che corrisponda o non corrisponda ai dati di partenza (d’altra parte se ti dessero una qualunque sequenza alfanumerica, anziche’ una calcolata, numero, quella ti prenderesti).
Io stesso, fino a pochi anni fa avevo piu nomi, ma l’impiegato dell’agenzia delle entrate negli anni 70 mi rilascio’ il codice fiscale solo con il primo nome… anche se non corrispondeva ai dati nei miei documenti, il mio codice fiscale era quello.
Sono parzialmente d’accordo. Una sequenza numerica o alfanumerica casuale potrebbe essere la soluzione ideale.
Dal C.F. e’ pero’ possibile risalire a data e luogo di nascita e sesso registrato all’anagrafe. Tutti dati potenzialmente sensibili. A un croato puo’ non piacere venire categorizzato come “jugoslavo” o un estone come “russo”. Una donna puo’ avere un C.F. calcolato come uomo e non vorrebbe ogni volta doversi giustificare se un algoritmo segnala la discrepanza.
In conclusione, ho l’impressione che l’intero sistema del codice fiscale prima o poi vada rivisto per tenere conto dei cambiamenti sociali e geopolitici. Peraltro fino a oggi ha funzionato molto bene.
non ho capito tutto il messaggio e non vorrei fraintendelo, ma la residenza e la cittadinanza non sono considerate nel calcolo del CF, quindi l’ambiguità che evidenzi non sussiste.
A quale decreto ti riferisci?
Il Decreto del 23/12/1976 n. 13813 non spiega come vadano codificati nome e cognome rispetto i caratteri speciali (che è il tema da cui nasce questa discussione).
Mi riferisco a quando si intende risalire alla cittadinanza a partire dal C.F.
Qualche tempo fa ho fatto un esperimento. Sono entrato su un sito italiano, credo che fosse il Ministero della Pubblica Istruzione ma ora non ricordo, via eIDAS usando la mia carta estone. Mi e’ stato assegnato un nuovo C.F. e nel campo “cittadinanza” appariva “Estonia”. Non modificabile. Il sito aveva associato il documento di residenza con la cittadinanza.
C’e’ poi ancora un’incongruenza. Prendiamo un cittadino straniero, diciamo americano, nato a Milano. Ha senso che riceva il codice di Milano e non degli USA? Avremmo una differenziazione tra americani (e altre nazioni) nati a Milano, Roma, Belluno ecc. e nessuna differenziazione tra italiani nati negli USA.
Non voglio criticare il Codice Fiscale che funziona molto bene, e certamente meglio che in parecchi altri paesi. Mi preme solo osservare che e’ stato definito sulla situazione nazionale e geopolitica del 1960 e oggi il mondo e’ completamente cambiato con una minore coincidenza tra residenza e nazionalita’, oltre che notevoli flussi migratori. Cui si aggiunge la questione M/F.
Fino a che il C.F. e’ usato solo ai fini fiscali, nessun problema. Ma oggi e’ utilizzato per identificare la persona nel suo complesso con parecchi aspetti piu’ o meno privati e potenzialmente sensibili.
Mi riferisco proprio a quel decreto. Il fatto è che, per il periodo in cui fu emanato, andava bene …e probabilmente va bene ancor oggi pur nel mutato contesto geopolitico (altrimenti cittadini di uno Stato estero con un set di caratteri non latini non potrebbero vedersi mai attribuito il codice fiscale: cinesi, russi, greci, indiani ecc…). Ciò induce a ritenere che la traslitterazione in caratteri latini nei documenti di identità ufficiali sia indispensabile, l’Agenzia delle Entrate non può inventarsi nulla…
Andrebbe analizzato meglio il caso specifico, ma in ogni caso non si risale MAI alla cittadinanza partendo dal CF.
Guarda che il Ministero della Pubblica istruzione non ti ha assegnato nessun nuovo C.F. (solo l’agenzia delle entrate li rilascia), molto piu’ probabilmente ti ha assegnato un codice identificatico alfanumerico (calcolato come il C.F. a partire dalle informazioni ricavate da EIDAS, ma di sicuro, quello non e’ un codice fiscale, ma solo un modo di ottenere un codice univoco che il sistema sa trattare).
d’accordo con questa osservazione. Semplicemente, mi ero di colpo sentito un altro.
Lo standard ICAO dei passaporti e’ fantastico. Semplice, pratico, ben documentato, accettato e utilizzato in tutto il mondo, risolve molti piu’ problemi di quanti non ne crei (sempre che di problemi ne crei). Se fosse possibile ispirarsi a quello per tante altre questioni… Sono convintamente europeista, ma non oso pensare al risultato, se non ci fosse ICAO, di una direttiva eurooea sui passaporti. Quella attuale ci regala il colore bordeaux, va bene, e diciture in tutte le lingue delle quali solo tre sono utili per viaggiare fuori UE. Mentre all’interno il passaporto non serve.
A Pechino preferirei che il mio passaporto fosse anche in cinese e in caratteri di dimensioni leggibili, non in bulgaro, lettone e maltese.