Su dai, ora però basta dare contro alla PEC.
I problemi stanno altrove. Quando sono problemi che coinvolgno l’uso della PEC probabilmente è l’uso della PEC inappropriato in quel contesto, ma è un problema di flusso del servizio non dello strumento in sé.
Oggi come oggi la PEC è l’unico strumento in funzione che consente di avere certezza di invio e consegna (e di certezza del contenuto).
In punto di diritto comunque non è scritto da nessuna parte che le comunicazioni via e-mail non siano valide. Anzi, dove l’art. 65 del CAD parla di PEC come strumento di trasmissione per avere comunicazioni e istanze valide si riferisce in realtà alla PEC-ID, che era una evoluzione della PEC pensata ma mai realizzata, in cui il gestore PEC non solo doveva identificare in maniera certa il titolare della casella prima di attivarla ma anche inserire in ogni busta di trasporto PEC un’attestazione di identità. C’è una fallace convinzione che una casella PEC nome.cognome@ sia una garanzia di provenienza del documento inviato ma non è così. Del resto io posso aprire una casella PEC con nome arsenio.lupin@ senza problemi. Quindi la PEC è uno strumento pienamente valido e certo solo se c’è una dichiarazione precisa da parte dell’interessato che “elegge” una data casella PEC (fosse anche farfallinofrufru007@) come suo “domicilio digitale” (speciale, cioè riferito a un affare particolare o ai rapporti con un particolare soggetto). Quando poi la PEC associata al soggetto compare in un registro pubblico (IPA e INI-PEC per adesso, prima o poi INAD) l’elezione di domicilio è fatta una volta per tutte. Le PEC della p.a. italiana sono in IndicePA (o IPA) e una comunicazione mandata lì anche da casella e-mail è ben indirizzata. Il problema è nel verso opposto. Se una p.a. fa una comunicazione telematica deve essere ben sicura di spedire bene: quando l’interlocutore esterno avvia un affare usando una casella PEC si ritiene che la comunicazione possa continuare con pieno valore su quella casella. In teoria anche se la casella non è una PEC, ma lì viene meno la possibilità di prova degli scambi. Qualcuno, anche autorevole, ritiene che anche un indirizzo e-mail semplice possa essere eletto come domicilio digitale speciale con responsabilità di mancate consegne (e anche di mancati invii da parte della p.a. viene da dire) a carico suo, ma io ho seri dubbi che anche il decreto di quest’anno sul funzionamento della piattaforma nazionale delle notifiche conferma: il domicilio digitale speciale è sempre una casella certificata.
Vero che sono condiderazioni che si ritrovano fra leggi e regole varie, quindi frutto di decisioni umane, ma sembrano anche abbastanza ragionevoli quando gli scambi di corrispondenza incidono su diritti e interessi di qualcuno. Oppure pensiamo veramente che spostare tutto su app IO o form online mal progettati sia un miglioramento?
Altra considerazione: molte caselle PEC della p.a. rifiutano in automatico messaggi da caselle non PEC. Secondo me bestialità pura, perché si sta negando il diritto di usare canali telematici ai cittadini (le imprese la PEC ce l’hanno), senza appigli normativi né di buon senso né di efficienza dell’organizzazione. Per l’art 65 del CAD e l’art. 38 del CAD la comunicazione è valida per esempio se firmata “a mano” (cioè lettera/modulo stampato firmato e digitalizzato) e accompaganta da documento di identità, per esempio. Che venga da mail, PEC o altro poco rileva.
Anticipo qualche obiezione: se il problema è lo spam, che si reindirizzino in automatico (a cura del gestore PEC) i messaggi non certificati su una casella ordinaria dedicata. Oppure che si pubblicizzi adeguatamente anche una casella ordinaria a cui i cittadini possono scrivere; meglio pero’ la prima almeno passa tutto attraverso il gestore della casella PEC che, cosi’ a sentimento (non ho riscontri o riferimenti puntuali da fornire), che in casi estremi può essere interpellato anche per sapere se ha ricevuto un certo messaggio non certificato.
Sui dipendenti pubblici che non rispondono: i dipendenti pubblici che hanno rapporti col pubblico rispondono alle e-mail come prima rispondevano al telefono, cioè in base a tempo e voglia (fattori mediamente indipendenti dalla tecnologia).
Il costo della PEC per il cittadino? E’ un argomento capzioso (costa anche scrivere una raccomandata, una lettera semplice, il bus o l’auto per andare allo sportello, per non paralre di carta e penna, o di PC e stampante per un modulo cartaceo, o di PC e connessione dati per un modulo online). Alcuni comuni, comunque, la offrono ai propri cittadini. Invece, la CEC-PAC (quella gratuita governativa) del primo Brunetta è stata demolita come il peggiore dei mali invece che corretta in alcuni punti (OT: aveva delle idee uniche ancora non ripetute, prima che app IO ne produce di simili - ma meno valide - ci vorrà del tempo).
Tornando a bomba, se un problema PEC esiste, il problema non è in quello che c’à ma in quello che non c’è. FInché non parte INAD la PEC resta zoppa. Con INAD - bada bene, INAD, non la piattaforma notifiche che è uno strumento operativo, alla fine, che su INAD deve poggiare - molti dei limiti che la p.a. vede nella PEC e rappresentati in vari post di sopra si superano, per primi l’elezione del domicilio e la verifica periodica della sua raggiungibilità,